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- Victoria Amelina ha documentato i crimini di guerra in Ucraina con l’organizzazione Truth Hounds, trasformandosi in una reporter-attivista dopo l’invasione russa del 2022.
- Il libro «Guardando le donne guardare la guerra» è una cronaca delle atrocità belliche e un gesto di resistenza che offre uno sguardo intimo sulla distruzione e la sofferenza causate dalla guerra.
- Il 27 giugno 2023, mentre si trova in un ristorante a Kramatorsk, un missile Iskander causa la morte di Amelina.
Guardando le donne guardare la guerra di Victoria Amelina, pubblicato in Italia a marzo da Guanda, è un’opera postuma in cui l’eco del conflitto riecheggia tra le righe. Quasi la reliquia di un’esistenza troncata, un resoconto di una vita spezzata dalla crudeltà della guerra. L’autrice ucraina, che si è trasformata in una reporter-attivista, ha documentato i crimini bellici insieme all’organizzazione Truth Hounds. La sua voce – vitale, fresca e potente – ci raggiunge attraverso un’opera incompiuta, il diario di una ricercatrice che anelava alla giustizia in un mondo sconvolto.
Victoria Amelina, un’inviata della Dea Giustizia
Il 24 febbraio 2022, l’invasione russa devasta l’Ucraina. Amelina, in vacanza in Egitto con il figlio, si trova intrappolata, impossibilitata a fare ritorno in patria. I voli sono stati annullati, lo spazio aereo interdetto. In quei momenti di precarietà, si chiede se la sua nazione esista ancora. Raggiunge Praga, ma la sua mente è costantemente rivolta alla sua terra. Decide di ritornare, lasciando il figlio al sicuro in Polonia. Sente l’obbligo di essere presente, di testimoniare, di battersi per la verità.
Amelina si trasforma in una ricercatrice di atrocità belliche e comincia a registrare la barbarie perpetrata dagli invasori russi. Il suo libro è un diario intimo, una cronaca spietata della distruzione e della sofferenza. Ma è anche un gesto di resistenza, un tentativo di dare voce alle vittime, di conservare la memoria di un popolo tormentato. Margaret Atwood, nella prefazione, la definisce un «angelo con il registro», un’inviata della Dea Giustizia che raccoglie le prove delle azioni buone e malvagie.
Dettagli che squarciano l’indifferenza
La guerra genera un baratro tra l’esistenza precedente e quella attuale. Amelina, rientrata a Kiev, rinviene nella credenza dei biscotti acquistati prima dell’attacco. Li mangia e osserva: «Non sono ancora andati a male». Un particolare apparentemente trascurabile, ma che custodisce il senso di una normalità perduta, di una vita interrotta. Analogamente, una giovane madre palestinese a Gaza riscopre i disegni incompiuti dei suoi figli, i pennarelli sparsi sul tavolo. O il cancello che oscilla nel vuoto in un kibbutz israeliano distrutto. Sono questi dettagli, questi frammenti di vita quotidiana, a strapparci dall’apatia, a farci percepire la dimensione della tragedia.
Chandra Candiani, nel suo componimento Pane del bosco, edito da Einaudi, esprime un concetto universale: non esistono conflitti distanti, poiché ovunque i defunti si muovono a bassa quota, come ombre silenziose eppure presenti, figure crepuscolari di una primavera che cerca di manifestarsi in punta di piedi:
Nel bosco vieni chiamata e perdi
il nome
sei molto spoglia in ogni stagione
eppure balli e fischi sei un po’ uccello
e libellula
ma anche foglia e scorrere d’acqua.
Esci fuori
nuova nuova ma non se ne accorge
nessuno
tranne un sorriso invivibile.
Perché il libro di Victoria Amelina resterà
Paolo Giordano ha suggerito che Guardando le donne guardare la guerra rimarrà il libro su questo conflitto, anche fra decenni. Un’affermazione che trova fondamento nella capacità di Amelina di unire la cronaca al privato, la storia alla memoria. Il suo libro è una testimonianza diretta, un racconto in presa diretta delle devastazioni della guerra e del costo della resistenza.
Amelina intervista donne forti e determinate, che hanno scelto di combattere, di resistere, di non arrendersi alla barbarie. Evhenia, un’avvocatessa che si è arruolata nei ranghi delle Forze di Difesa ucraine; Oleksandra, insignita del Premio Nobel per la Pace, impegnata nella documentazione di decine di migliaia di crimini di guerra; Yulia, una bibliotecaria che svolge indagini sulla sparizione e l’assassinio di uno scrittore. Le loro storie si intrecciano, creando un mosaico di dolore e di speranza.
Il libro è pieno di immagini potenti, di dettagli che colpiscono al cuore. Le donne che crollano parlando degli animali uccisi senza motivo, uno scarabeo portato in salvo durante un bombardamento. La giornalista Olena Stepanenko, fuggita da Bucha, che dice di non riuscire a ricordare le cose terribili che ha visto, ma che piange per il gatto che ha chiuso in casa.
La premonizione di Amelina sul suo destino
A pagina 109, Victoria Amelina scrive: «Lo vedo, il futuro. Certo, possiamo essere colpiti da un Iskander da un momento all’altro, ma in qualche modo io vedo l’Ucraina dopo la guerra». Una premonizione tragica. Un missile Iskander la ucciderà il 27 giugno 2023, mentre si trova in un ristorante a Kramatorsk. Il suo sogno di vedere l’Ucraina dopo la guerra resterà una fantasia.
La sua morte però non ha fermato la pubblicazione del libro. Le curatrici hanno scelto di lasciare le frasi interrotte, di non confezionare una guerra ancora in corso. Il libro ci viene consegnato crudo, violento. Ma proprio per questo diventa una testimonianza ancora più autentica della guerra in Ucraina.
Amelina, come altri intellettuali ucraini uccisi in passato, è vittima di una Russia che desidera eliminare ogni traccia della cultura ucraina. Ma la sua opera, come quella di Volodymyr Vakulenko, lo scrittore il cui diario ha ritrovato, continuerà a vivere, a testimoniare, a ispirare.
Per orientarsi fra testo e contesto
Guardando le donne guardare la guerra è sia un documento storico sia un atto di accusa contro la barbarie della guerra. Victoria Amelina ci ha lasciato un’eredità preziosa, un invito a non dimenticare, a non restare indifferenti di fronte alla sofferenza altrui. La sua opera si inserisce in un filone di letteratura che ha visto autrici come ad esempio il premio Nobel Svetlana Aleksievic, con La guerra non ha un volto di donna (Bompiani, 2017), dare voce alle testimonianze sovietiche durante la seconda guerra monsiale. Allo stesso modo, Se questo è un uomo di Primo Levi rappresenta una testimonianza imprescindibile sulla disumanizzazione operata dai regimi totalitari. Victoria Amelina oggi è entrata nell’Olimpo di questi autori, a cui dobbiamo la conservazione necessaria della memoria di ciò che avremmo voluto dimenticare.