«E ho smesso di chiamarti papà», storia di orrore e di riscatto

E ho smesso di chiamarti papà, in uscita per Utet, racconta la storia di Caroline Darian, figlia di Gisèle e Dominique Pelicot, una delle vicende più sconvolgenti degli ultimi anni. Il 19 dicembre 2024 si è concluso in Francia un processo che ha catturato l’attenzione del mondo intero. Dominique Pelicot è stato condannato a vent’anni di prigione per aver drogato e abusato della moglie, Gisèle, per un decennio. Caroline, l’unica figlia femmina della coppia, ha deciso di raccontare questa tragica vicenda in un libro che non è solo la cronaca di fatti tremendi, ma anche una testimonianza di sopravvivenza e resistenza.

Il trauma, come racconta Caroline, si è diffuso come un’onda d’urto, colpendo ogni aspetto della sua vita. La scoperta di immagini e video che ritraevano la madre, le nuore e persino Caroline stessa, ha sollevato il dubbio che anche lei potesse essere stata vittima delle azioni del padre. In un contesto di interrogatori e prove schiaccianti, Caroline ha dovuto affrontare l’atroce realtà di un padre che non riconosceva più come tale.

Le rivelazioni della madre e il processo

La vita di Caroline è cambiata radicalmente nel novembre 2020, quando sua madre le ha rivelato che Dominique era stato arrestato per aver filmato di nascosto donne in un supermercato. Le indagini hanno portato alla luce un orrore ancora più grande: migliaia di immagini e video che documentavano gli abusi subiti da Gisèle. Dominique non solo drogava la moglie, ma la offriva a estranei trovati su internet. Al processo, iniziato a settembre 2024 ad Avignone, sono stati coinvolti oltre cinquanta uomini, tutti condannati insieme a Dominique.

Caroline ha affrontato il processo come testimone e parte civile, trasformando il dolore in una battaglia per la giustizia. Ha fondato poi l’associazione #MendorsPas: Stop à la Soumission chimique, per sostenere le vittime di violenza domestica e portare alla luce queste pratiche orribili.

Le pagine di E ho smesso di chiamarti papà

Nel suo libro, Caroline esplora il difficile percorso di accettazione e guarigione. Le pagine sono intrise di ricordi di un passato che sembrava normale, quando Dominique era un padre affettuoso e la famiglia trascorreva le estati nel villaggio di Mazan. Tuttavia, la realtà ha infranto questa illusione, rivelando un uomo capace di atti inimmaginabili.

Caroline ha scelto di non conservare alcuna fotografia del padre, cercando di ricostruire la propria identità lontano da quel passato. La sua ammirazione per la madre, Gisèle, è palpabile: una donna che ha affrontato il processo con dignità e ha aperto la strada ad altre vittime di violenza sessuale.

Caroline Darian, che ha inventato il suo cognome fondendo i nomi di battesimo dei suoi due fratelli (David e Florian), oggi continua a lottare per la giustizia delle vittime di violenza sessuale. Ha chiesto una migliore formazione per gli operatori sanitari e la polizia, oltre a un accesso più rapido ai test tossicologici. La sua esperienza personale l’ha resa una voce potente nel movimento contro la sottomissione e la violenza domestica. Nonostante il dolore e la solitudine che ha affrontato, Caroline è determinata a ricostruire la sua vita. Sta lavorando a un nuovo libro che esplorerà il dietro le quinte del processo a suo padre, con l’obiettivo di sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica su questi temi.

Per orientarsi fra testo e contesto

La storia di Caroline Darian è un potente promemoria della complessità delle relazioni familiari e del coraggio necessario per affrontare la verità. Il suo libro non è solo una testimonianza di orrore, ma anche un invito alla riflessione su come la società affronta la violenza domestica e sessuale. Caroline ha trasformato il suo dolore in una forza per il cambiamento, dimostrando che anche nelle situazioni più disperate, è possibile trovare una via d’uscita.

In un contesto più ampio, la vicenda di Caroline e Gisèle Pelicot solleva importanti interrogativi sulla giustizia e il supporto alle vittime. La loro storia ci invita a riflettere su come possiamo contribuire a creare un mondo in cui nessuno debba affrontare da solo il peso della violenza. Le loro esperienze ci ricordano che, anche di fronte alle avversità più grandi, la resilienza e la speranza possono emergere come le forze più potenti.