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- Sette vite come i libri è l’ultimo romanzo di Serena Venditto, uscito a gennaio 2025 per Mondadori.
- Ambientato a Napoli, il romanzo ruota attorno a Mycroft, un gatto nero che collabora alle indagini della protagonista.
- L’autrice, in questo podcast di cui riportiamo un breve stralcio, spiega come nascono i suoi personaggi e in che cosa consiste il cosiddetto cozy crime.
Di Serena Venditto, scrittrice nota per i suoi cozy crime, è uscito quest’anno Sette vite come i libri. Indagine per quattro coinquilini e un gatto (Giallo Mondadori). In questo podcast (di cui riportiamo di seguito solo una sintesi) è lei stessa a spiegare sia che cos’è un cozy crime, sia alcuni ingredienti tipici del suo mestiere. Il dialogo non può che partire da Mycroft, il gatto detective presente nei romanzi di Venditto che prende il nome dal fratello maggiore di Sherlock Holmes. Il suo creatore, Arthur Conan Doyle, si può considerare il capostipite del giallo e di tutti i suoi sottogeneri.
Come è nata l’idea di scrivere questa nuova avventura con protagonista il gatto Mycroft?
«In questo romanzo Malù, archeologa con la passione per il giallo, si ritrova improvvisamente senza lavoro e trova, grazie all’aiuto di Ariel, un impiego in una libreria dell’usato, Second chance, un posto dove i libri hanno una seconda possibilità di far felice le persone. Un giorno mettendo ordine trovano un libro insanguinato, una copia della Donna in bianco di Wilkie Collins, capolavoro di età vittoriana. Da qui parte una indagine che li condurrà sulle tracce di un cadavere senza identità. Da queste due immagini è nato il romanzo, il libro insanguinato e il cadavere senza nome».
Che cosa lo accomuna e che cosa, invece, lo differenzia dagli altri libri della serie?
«Resta la squadra: quattro coinquilini del centro storico di Napoli e il loro gatto nero, che si chiama Mycroft, come il fratello di Sherlock Holmes. La mente delle indagini è Malù, un’archeologa molisana amante dell’arte, delle investigazioni (letterarie, ma non solo) e del caffè; con lei indagano Ariel, traduttrice italoamericana di romanzi brutti; Samuel, rappresentante di articoli per gelaterie di origini sardo-nigeriane; Kobe, talentuoso quanto sgrammaticato pianista giapponese; e ovviamente il gatto nero Mycroft con il suo fiuto infallibile. Sicuramente è diversa l’impostazione, non c’è un omicidio, tanti sospettati e una indagine, ma una specie di caccia al tesoro, in cui ogni indizio porta a quello successivo».
Il genere di cui fanno parte i tuoi romanzi appartiene al cosiddetto cozy crime, che miscela thriller e divertimento. Se dovessi dire in che percentuale o in che misura utilizzi l’uno o l’altro di questi due elementi, come risponderesti?
«Cerco di bilanciare sempre i due aspetti, ma devo dire che non è un grande sforzo, mi viene molto naturale. Anche nella vita vera è così, tragedia e commedia camminano insieme, si mescolano costantemente».
Nel tuo personale Olimpo di scrittori, chi sono coloro a cui ti senti più debitrice?
«Si potrebbe fare una intervista a parte solo sul tema, e tanti li ho citati nel romanzo, essendo ambientato in una libreria ho potuto dare libero sfogo! Agatha Christie e Arthur Conan Doyle, ma anche Wodehouse, Jerome, l’umorismo inglese. E naturalmente Wilkie Collins, nume tutelare di questo romanzo».
Oggi va molto di moda il giallo e i suoi sottogeneri. Quanto, a tuo parere, questa tendenza è destinata a durare nel tempo?
«Secondo me per molto tempo, in Italia, il giallo ha avuto una battuta d’arresto durante il ventennio fascista, ma ora ci stiamo riprendendo tutto, e con gli interessi!».
Qual è il tuo rapporto con i lettori e in che modo lo coltivi (presentazioni, social media, scambi epistolari, altro)?
«Mi piace molto, adoro le fiere del libro in particolare, dove vado sempre con la casa editrice in cui sono nata, Homo Scrivens, e con cui continuo a collaborare».
Chi è il tuo lettore-tipo, se esiste?
«Lettore/lettrice amante del giallo classico, che ama anche sorridere».
A giudicare dai dati Istat, sembra che in Italia si legga poco e che soprattutto i giovani non spendano molto tempo sui libri. Qual è la tua opinione in merito, anche alla luce della tua esperienza di scrittrice in relazione con il pubblico dei lettori?
«Si legge poco, ma chi legge, legge tanto e questa è una piccola consolazione».
Si parla tanto di intelligenza artificiale e di come stia cambiando velocemente le nostre abitudini. Che cosa ne pensi? Hai mai usato sistemi come ChatGPT e simili? Ritieni che in futuro questi sistemi potranno sostituire il proprium di un’attività come la tua?
«Chatgpt è uno strumento, e come tale va usato. Non sostituisce nulla, non può sostituire uno scrittore, o un traduttore. Però può aiutare. Io non l’ho mai usato per la scrittura perché a me piace scrivere. Questo è il punto: l’intelligenza artificiale dovrebbe aiutarci a fare le cose noiose, non quelle che amiamo fare!».
Che cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere il “mestiere di scrivere”?
«Leggere, leggere tanto. E poi frequentare i posti dove “si fanno i libri”: fiere, presentazioni, laboratori. Conoscere le persone del settore, editor, editori, altri scrittori. Da soli non si combina niente».