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- La neve in fondo al mare è l’ultimo romanzo, pubblicato da Einaudi, di Matteo Bussola.
- Il libro affronta il dramma dell’adolescenza visto dal punto di vista di un padre alle prese con il male di vivere del figlio.
- Sullo sfondo de La strada di McCarthy, l’opera analizza le conseguenze del lockdown per i più giovani.
- La domanda che attraversa tutte le pagine si concentra su cui sia il vero responsabile per il malessere dei ragazzi.
La neve in fondo al mare è l’ultimo romanzo, pubblicato da Einaudi, di Matteo Bussola. Per lo stesso editore il fumettista veronese ha dato alle stampe finora diversi best seller, tra cui Il rosmarino non capisce l’inverno. La neve in fondo al mare si candida a essere il suo ennesimo successo. Il libro affronta il dramma dell’adolescenza visto dal punto di vista di un padre alle prese con il male di vivere del figlio. Complice in apparenza la pandemia e il lockdown, si ritrovano entrambi nel reparto di neuropsichiatria infantile di una città del nord. Non sono i soli. Assieme a loro ci sono alcuni coetanei di Tommy, il nome del figlio del protagonista, accompagnati da uno dei genitori. Tommy soffre di anoressia nervosa, mentre le patologie degli altri ragazzi spaziano dalla bulimia alla violenza incontrollata, a varie forme di autolesionismo che comprendono il cutting e le pulsioni suicidarie.
«Lo scrittore è uno che non sa niente»
Caetano “Tano” Bernardi, la voce narrante, incontra durante il suo calvario madri e padri che, come lui, sono inebetiti di fronte a una sofferenza che non comprendono. «Lo scrittore è uno che non sa niente». Matteo Bussola ama citare questa frase del grande autore giapponese Haruki Murakami. Il non sapere, unito però al tentativo di conoscere, è proprio la cifra stilistica della sua ultima opera. Tano, Amelia, Giulia, Franco, Elena, Marco sono genitori che non sanno cosa sta accadendo ai propri figli (in realtà, non è sempre così: per almeno una di loro si scoprirà la causa del malessere). I depositari del sapere sono quelli che in teoria si trovano nella fase dell’esistenza deputata a imparare. Ma la scuola non è il contesto adatto perché ciò accada, né lo è la relazione con i parenti più prossimi. Allora è il corpo a diventare il luogo scelto per l’apprendimento, con il dolore quale strumento privilegiato in un percorso formativo tutto in salita.
Seguendo La strada di Cormac McCarthy
L’epigrafe del romanzo riporta una frase tratta da La strada di Cormac McCarthy, un’opera che ha raccontato in maniera mirabile il rapporto tra padre e figlio. Lo scenario dell’apocalisse, nel capolavoro dell’autore statunitense, era frutto di invenzione. La neve in fondo al mare non ne ha bisogno. «Una generazione di genitori – scrive Bussola – comincia a confrontarsi con adolescenti spenti, apatici, ansiosi e spaventati, con crisi di panico, con figli e figlie che smettono di mangiare oppure che si abboffano fino a scoppiare, ragazzi e ragazze che a scuola non vogliono tornare più. Per timore degli sguardi altrui. Per paura della vita». Certo, il Covid-19 e le conseguenti restrizioni hanno contribuito a determinare questo stato di cose. Al fondo però non hanno fatto altro che far esplodere una fragilità che, prima ancora di essere dei figli, apparteneva ai padri e alle madri. Sono loro, siamo noi le vittime colpevoli.
Vittime e colpevoli in La neve in fondo al mare
Siamo vittime perché tutti gli sforzi per proteggere e far crescere i nostri figli spesso non sono coronati dai risultati attesi. Siamo colpevoli perché ci culliamo nella convinzione «che voi veniate al mondo per piacerci». Invece «“io non sono te” è ciò che ogni nuova vita grida nel cuore del mondo. Ma sono parole che vibrano su una frequenza sconosciuta, diversa dalla nostra di adulti, sulla quale ci si sintonizza solo dopo anni, e in certi casi mai». In un’epoca nella quale impazzano i romanzi gialli e la loro propensione a scodellarci ogni volta un colpevole che sia diverso da noi, parlare dello scandalo della diversità assume dei contorni coraggiosi. È quello che prova a fare La neve in fondo al mare, insegnandoci che «amare un figlio, o una figlia, vuol dire amare un tradimento, voler loro bene soprattutto quando sono molto diversi da ciò che si era sperato».
Per orientarsi fra testo e contesto
Per chi vuole scoprire, se non l’avesse già fatto, la penna del grande Cormac McCarthy, è imprescindibile partire da La strada, uno dei suoi racconti più potenti e belli, che hanno segnato gli ultimi vent’anni, o quasi, della nostra letteratura.
Del tema della pandemia mi sono occupato nel mio romanzo La strada di Miriam, il cui tributo a McCarthy è evidente sin dal titolo. Anche lì si affronta il legame tra generazioni, seppure in modo più sbrigativo rispetto al libro di Matteo Bussola, poiché la storia di Miriam ha un altro scopo e si svolge nel periodo in cui il virus ha stravolto la vita di tutti.