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- A un anno dalla scomparsa di Michela Murgia, un percorso tra le autrici più significative dell’isola
- Grazia Deledda: Premio Nobel per la Letteratura nel 1926, racconta le complesse relazioni familiari e le difficoltà della vita in Sardegna nel suo romanzo Canne al vento.
- Bianca Pitzorno: Autrice di Ascolta il mio cuore, ambientato nel paese immaginario di Lossai, che riflette la realtà sarda degli anni '50.
- Milena Agus: Mal di pietre esplora la storia di una donna sarda e le sue esperienze amorose e familiari.
Un percorso di lettura, un viaggio emozionante in cinque libri – parziale e sicuramente non esaustivo – per raccontare la Sardegna attraverso le voci di alcune autrici di generazioni diverse: da Grazia Deledda a Bianca Pitzorno, passando per Michela Murgia. Grande isola dalle acque cristalline, spiagge candide e scogliere a picco sul mare. E dalle insenature dolci e segrete, pescatori solitari, conchiglie rosa e saline al tramonto. Questa è la Sardegna, certo, che però è anche molto altro, oltre che una bella occasione per delle stories su Instagram.
La Sardegna è fatta anche di montagne impervie, pastorizia e piccole comunità arroccate sui monti, gigantesche cave minerarie. È fatta di contraddizioni – e quale società complessa non lo è? – , orgoglio delle tradizioni, spesso in risposta alla violenza delle istituzioni, e una lingua antica, protetta. I suoi abitanti sono fieri narratori e narratrici delle sue storie, un po’ magiche e un po’ oscure, fatte anche di malocchi, resistenza e sortilegi. Ci tuffiamo, quindi, in questa malia, in questo incantesimo, viaggiando dal passato verso il futuro, per raccontare una Sardegna diversa da quella dei magazine.
Un’esplorazione della Sardegna letteraria attraverso le voci di scrittrici a cavallo tra le generazioni. Non possiamo non cominciare con la più celebre autrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, Premio Nobel per la Letteratura nel 1926 – unico Nobel a una donna italiana. Un’autrice versatile, profonda, con una poetica originale. Racconta relazioni complesse e ingarbugliate tra famigliari, tra amanti, tra fratelli e sorelle. Con una grande attenzione nei confronti una terra ferita e forte, di roccia e spine. Il suo romanzo più conosciuto è probabilmente Canne al vento, ma è stata una scrittrice molto prolifica e amata.
Canne al vento narra la storia della famiglia Pintor, ridotta a tre sorelle nubili, Ruth, Ester e Noemi, rimaste a Galte, il loro villaggio, per tutta la vita. La quarta sorella, Lia, unica a essersi ribellata a un padre padrone, è fuggita molti anni prima a Civitavecchia, dove ha sposato un uomo e dove ha avuto un figlio, Giacinto. Passati molti anni da quei fatti – dietro ai quali si nasconde un crimine, e di sicuro la morte del patriarca Don Zame, forse ucciso dalla stessa Lia – Giacinto, ormai grande, raggiunge le sue zie a Galte, alla morte dei suoi genitori. Le sorelle Pintor hanno un unico appoggio, un servo arcigno e apparentemente severo, di nome Efix, che è loro leale e sogna il grande ritorno ai fasti della famiglia Pintor. L’arrivo di Giacinto è atteso come un grande evento, e così viene festeggiato: il giovane di città, che porta con sé nuova vita, nuova energia, ma anche alcuni dubbi e sospetti sulla sua buona volontà. Canne al vento racconta una società passata, in una terra dura, malarica e quasi impossibile da coltivare, eppure così bella e ricca, malinconica e viva, molto prima di divenire luogo di turismo e foto da cartolina.
Bianca Pitzorno è una delle autrici più conosciute in Italia, sia nella letteratura per ragazzi sia in quella per adulti, ed è stata, tra le altre cose, autrice per la televisione e traduttrice. Molti dei suoi romanzi sono ambientati in Sardegna, a volte in luoghi inventati, come Lossai, paese protagonista del celebre Ascolta il mio cuore (e di tutta la saga Diana, Cupido e il Commendatore, e Re Mida ha le orecchie d’asino: la saga di Lossai, appunto). In tutta la produzione di Pitzorno, però, si sente l’aroma della Sardegna, come nel racconto Profumo (Sortilegi, Bompiani) in cui una nave emana la fragranza di tradizionali biscotti sardi.
Ascolta il mio cuore parla delle vicende di Prisca e delle sue amiche Elisa e Rosalba che iniziano l’anno della quarta elementare, quando una nuova maestra sta per sostituire quella passata. Siamo tra il 1949 e il 1950, a Lossai, e al suo arrivo la nuova maestra appare buona e cara, per poi trasformarsi velocemente nella peggiore nemica delle ragazzine. La classe femminile è stata suddivisa in sezioni dalla narratrice: Prisca, una gran chiacchierona, ci sono le Leccapiedi, come è ovvio le preferite della maestra Argia Sforza, i Maschiacci, di cui le nostre protagoniste fanno parte, i Conigli, le più miti, che però sanno da che parte stare quando è giusto lottare, soprattutto contro una maestra vipera. Il resto è tutto da leggere.
Milena Agus ci fa rimescolare tutte le carte: è l’unica tra le scrittrici di questa lista a essere nata “nel continente”, a Genova, da genitori sardi, ed essere poi tornata a lavorare e vivere a Cagliari. E così anche i suoi romanzi abitano, perlopiù, nell’assolato capoluogo della Sardegna. Il suo romanzo più conosciuto, finalista al Premio Strega e al Premio Campiello nel 2007, è Mal di pietre (Nottetempo), ma la sua produzione è molto vasta, e tradotta in oltre venti lingue. Sottosopra (Nottetempo), ad esempio, è un romanzo su un condominio eccentrico (come i suoi abitanti) affacciato sul mare, o il recentissimo Notte di vento che passa (Mondadori) che racconta di Cosima, che sta diventando adulta, e si trasferisce a Cagliari con la sua famiglia.
Mal di pietre è una fittizia biografia famigliare scritta da una nipote, che ricostruisce e racconta la storia di sua nonna. Una nonna che si sposa ben oltre il tempo sperato, già da più grande della norma di quegli anni – trent’anni! -, con un matrimonio combinato, che lei non apprezza. Una decina d’anni dopo, durante un ritiro termale a curare i calcoli renali con delle pietre bollenti, trova l’amore in un altro uomo, il Reduce, da cui nasce un figlio non previsto. Una favola, forse, così credibile da lasciare un dolce sapore di malinconia e da farci domandare cosa sappiamo davvero di chi amiamo. Il racconto, poi, attraversa la seconda metà del Novecento, esplorando il territorio, gli usi e le tradizioni che abbiamo dimenticato, e che sono in realtà ancora vicine.
Michela Murgia, nata il 3 giugno 1972 e venuta a mancare il 10 agosto 2023, è stata un’intellettuale e una scrittrice molto amata, che ha saputo raccontare la sua terra d’origine in maniera mai retorica, con grande delicatezza, e senza essere scontata. Accabadora (Einaudi), forse il suo romanzo più acclamato (vincitore del Premio Campiello 2010), racconta una storia ambientata negli anni 50 a Soreni, in cui una ragazzina orfana di padre viene adottata come “filla de anima” da una donna abbiente, che ha attorno a sé un’aura stregonesca. Ne L’incontro (sempre Einaudi), Murgia inventa un paese – Crabas – molto simile al suo paese di nascita – Cabras -, in cui due ragazzini diventano amici in una località nota per le cerimonie dedicate ai santi, e per le feste consacrate.
Ma oggi è di un altro libro della Murgia che vogliamo parlarvi. Più che guida di viaggio, Viaggio in Sardegna (Einaudi) è una vera e propria immersione in una “Sardegna che non si vede”, in cui l’autrice fa i conti con le aspettative dei turisti, dei viaggiatori e delle viaggiatrici, e le ribalta quasi del tutto. Pubblicato per la prima volta nel 2011, non può essere considerato una unica guida turistica, ma può sicuramente rappresentare una traccia da seguire per esplorare le complessità della Sardegna. Lo si può facilmente intuire dai capitoli del saggio, parole uniche per raccontare concetti ampi, come Alterità, Confine, Indipendenza e Femminilità. Oppure elementi del territorio e del panorama, come Pietra e Acqua. Produzioni e artefici umani Cibo, Arte, Fede e Suoni, per raccontarne le tradizioni (e le superstizioni). Viaggio in Sardegna mappa percorsi invisibili, eppure incredibilmente evidenti una volta che Murgia li ha nominati ed evocati.