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La rabbia di Pasolini, quando l’odio si trasforma in poesia

Esplora l’indagine profonda dello scrittore su un sentimento che avvelena l’anima e rivela le contraddizioni dell’umanità.
  • La poesia La rabbia scritta nel 1960 esplora l’emozione della rabbia come un demone interiore.
  • Pasolini riflette sull’esperienza romana nel giardino di Monteverde Vecchio, paragonando la rabbia a un impulso che lo rende un rottame.
  • La rabbia viene descritta come un’emozione che avvelena l’anima, con il dolore che vortica e riempie il cuore di pus.

Perché esiste l’odio? Perché ci lasciamo trasportare dalla rabbia fino a non vederci, a commettere atti impulsivi e scellerati? Queste domande, che emergono dal nostro quotidiano e dalla cronaca, trovano una risposta nella poesia di Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. La sua poesia La rabbia, scritta nel 1960 e pubblicata apparso sul il 20 settembre 1962 sulla rivista «Vie nuove», esplora l’emozione della rabbia, descrivendola come un piccolo demone che avvelena l’anima.

Pasolini, attraverso un linguaggio che unisce il piano ideologico alla dimensione intima e autobiografica, scandaglia sé stesso e le sue emozioni, mettendo in luce le contraddizioni dell’umanità. La rabbia è una poesia che condensa ricordi d’infanzia e riflessioni esistenziali su uno stato d’animo che non possiamo ignorare. Quando siamo arrabbiati, non riusciamo a focalizzarci su altro: le emozioni fisiche sono potenti, irradiano dalle viscere e ci fanno diventare altro da noi stessi, rendendoci incapaci di governarle. Eccola.

La rabbia

Vado sulla porta del giardino, un piccolo
infossato cunicolo di pietra al piano
terra, contro il suburbano
orto, rimasto lì dai giorni di Mameli,
coi suoi pini, le sue rose, i suoi radicchi.

Intorno, dietro questo paradiso di paesana
tranquillità, compaiono,
le facciate gialle dei grattacieli
fascisti, degli ultimi cantieri:
e sotto, oltre spessi lastroni di vetro,
c’è una rimessa, sepolcrale. Sonnecchia,
al bel sole, un po’ freddo, il grande orto
con la casetta in mezzo ottocentesca,
candida, dove Mameli è morto,
e un merlo cantando, trama la sua tresca.

Questo mio povero giardino, tutto
di pietra… Ma ho comprato un oleandro
nuovo orgoglio di mia madre
e vasi di ogni specie di fiori,
e anche un fraticello di legno, un putto
obbediente e roseo, un po’ malandro,
trovato a Porta Portese, andando
a cercare mobili per la nuova casa. Colori,
pochi, la stagione è così acerba: ori
leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi…

Solo un po’ di rosso, torvo e splendido,
seminascosto, amaro, senza gioia:
una rosa. Pende umile
sul ramo adolescente, come a una feritoia,
timido avanzo d’un paradiso in frantumi…
Da vicino, è ancora più dimessa, pare
una povera cosa indifesa e nuda,
una pura attitudine
della natura, che si trova all’aria, al sole,
viva, ma di una vita che la illude,
e la umilia, che la fa quasi vergognare
d’essere così rude
nella sua estrema tenerezza di fiore.
Mi avvicino più ancora, mi sento l’odore…

Ah, gridare è poco, ed è poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!
Rinuncio a ogni atto… So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l’odore della mia vita: l’odore di mia madre…
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?
Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone
della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco;
sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.

Il dolore che da me a poco a poco mi aliena,
se io mi arrabbio appena,
si stacca da me, vortica per conto suo,
mi pulsa disordinato alle tempie,
mi riempie il cuore di pus,
non sono più padrone del mio tempo…
Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come nel ventre
materno, in quest’ ardente
odore di umile rosa bagnata.

Ma lottavo per uscirne, là nella provincia
campestre, ventenne poeta, sempre, sempre
a soffrire disperatamente,
disperatamente a gioire… La lotta è terminata
con la vittoria. La mia esistenza privata
non è più racchiusa tra i petali d’una rosa,
una casa, una madre, una passione affannosa.
È pubblica. Ma anche il mondo che m’era ignoto
mi si è accostato, familiare,
si è fatto conoscere, e, a poco a poco,
mi si è imposto, necessario, brutale.
Non posso ora fingere di non saperlo:
o di non sapere come esso mi vuole.

Che specie di amore
conti in questo rapporto, che intese infami.
Non brucia una fiamma in questo inferno
di aridità, e questo arido furore
che impedisce al mio cuore
di reagire a un profumo, è un rottame
della passione… A quasi quarant’anni,
io mi trovo alla rabbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro il vecchio mondo.
E, come un giovane, senza pietà
o pudore, io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.

Pasolini e il contesto romano

Nel 1955, la famiglia Pasolini si trasferisce in un’elegante palazzina di Monteverde Vecchio in via Carini, la stessa casa abitata dalla famiglia Bertolucci. La madre di Pasolini si dedica a sistemare un piccolo giardino, che diventa uno scenario centrale nella poesia La rabbia. Tra cespugli, alberi e rose, il poeta riflette sull’esperienza romana e sull’emozione della rabbia che avverte dentro di sé come un demone “piccolo, sordo, fosco”.

Pasolini paragona la rabbia dei giovani contro il vecchio mondo a un impulso che non lo rende padrone, ma lo fa a pezzi, trasformandolo in un “rottame”. La descrizione del giardino e dei suoi elementi naturali diventa una metafora della condizione umana e della lotta interiore del poeta.

La rabbia come demone interiore

La poesia di Pasolini esplora l’emozione della rabbia come un demone che avvelena l’anima e che non libera la coscienza. Il dolore aliena il poeta, lo stacca dalla realtà, vortica e pulsa disordinato alle tempie, riempiendo il cuore di pus. Pasolini descrive come la rabbia lo renda incapace di essere padrone del suo tempo, imprigionandolo in una lotta interiore.

Il poeta riflette sulla sua esistenza privata, racchiusa tra i petali di una rosa, e sulla sua lotta per uscirne. La sua vita, una volta confinata nella provincia campestre, diventa pubblica e familiare, ma anche imposta e brutale. Pasolini non può fingere di non sapere come il mondo lo vuole, e la sua rabbia si accanisce contro il vecchio mondo, senza pietà o pudore.

Per orientarsi fra testo e contesto

La rabbia di Pier Paolo Pasolini è un’indagine profonda sull’emozione della rabbia e sulle sue implicazioni esistenziali. Pasolini, attraverso un linguaggio poetico e riflessivo, esplora le contraddizioni dell’umanità e la lotta interiore che la rabbia scatena.

Per i lettori occasionali, un consiglio di lettura correlato al tema principale dell’articolo potrebbe essere Le ceneri di Gramsci, una raccolta di poesie di Pasolini che esplora temi simili di lotta interiore e riflessione esistenziale. Per i lettori esperti, invece, potrebbe essere interessante approfondire la lettura di Scritti corsari, una raccolta di articoli e saggi in cui Pasolini affronta temi sociali e politici con la stessa intensità e profondità che caratterizza la sua poesia.

La riflessione personale che emerge dalla lettura delle opere di Pasolini è quella di confrontarsi con le proprie emozioni e contraddizioni, riconoscendo la complessità dell’animo umano e la necessità di esplorare e comprendere le proprie lotte interiori.


Articolo scritto al 99% dall’AI, con una correzione opzionale da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il contenuto dall’articolo.(scopri di più)
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