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- Quando abbiamo smesso di pensare di Davide Miccione è una sorta di prosecuzione dell’opera precedente, Lumpen Italia.
- L’autore dimostra, attraverso la lente fenomenologica, come la teoria e la prassi dell’emergenza si siano trasformate in condizione strutturale.
- Miccione cerca di tracciare la via per recuperare una esperienza autentica e un pensiero critico in grado di resistere alla logica dell’emergenza perpetua.
Davide Miccione è un autore che va letto, specie per chi vuole approfondire le motivazioni e le radici della dissoluzione del pensiero critico. Prima con Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo (Lettere da Qalat, 2022) ora con il recente Quando abbiamo smesso di pensare. Scritti di fenomenologia dell’emergenza (Transeuropa, 2024), che del precedente costituisce una sorta di approfondimento e di vera e propria “seconda parte”, Miccione va al cuore del problema. Curiosamente il titolo, ma non il sottotitolo, è identico – fatta eccezione per il punto interrogativo – a quello della scrittrice canadese Irshad Manji, pubblicato in Italia da Guanda 20 anni fa.
Ma le somiglianze finiscono qua. La riflessione di Miccione è alternativa per alcuni aspetti, complementare per altri, a quella delineata da Byung-Chul Han e Zygmunt Bauman. Con uno stile denso e immediato allo stesso tempo, secco e icastico a tratti, nella sua ultima fatica l’autore riesce a dimostrare, attraverso la lente fenomenologica, come la teoria e la prassi dell’emergenza, da situazione contingente si sia trasformata in condizione strutturale, alterando inesorabilmente il modus pensandi, nonché quello di vivere e di relazionarsi con gli altri e il mondo.
Benvenuti nell’era dell’emergenza continua
Si tratta di una vera e propria rivoluzione epistemologica al ribasso, che porta a una inesorabile “estinzione del pensiero critico”, capace di renderci succubi delle continue condizioni di emergenza (climatica, sanitaria, economica, politica ecc.). L’esito è la banalizzazione delle questioni e l’incapacità di ricorrere a degli strumenti di pensiero utili a sviluppare una comprensione critica della realtà e, di conseguenza, a costruire una risposta adeguata alle sfide della modernità.
Miccione smaschera la logica che giace sotto la gestione delle emergenze continue. Una logica che, nel fornire immediate, frammentate e allarmistiche soluzioni tecniche, rinuncia a favorire una comprensione profonda della realtà. In questo modo, secondo l’analisi dell’autore, l’emergenza diventa una sorta di governo, un dispositivo di controllo in grado di indurre reazioni istintive che portano alla rinuncia di qualunque forma di riflessione e di libera determinazione.
L’antidoto di Miccione alla dissoluzione del pensiero
Miccione non nasconde di evocare una sorta di “biopolitica”, che richiama le riflessioni di Michel Foucault e Giorgio Agamben sul rapporto fra potere e corpo. Ma il libro non si limita a descrivere la crisi, accelerata dalla pandemia da Covid-19. Prova a capirne le radici epistemologiche e ontologiche. Attraverso puntuali riferimenti alla fenomenologia, Miccione cerca di tracciare la via per recuperare una esperienza autentica e un pensiero critico in grado di resistere alla logica dell’emergenza perpetua e di creare spazi per una esistenza più autentica. L’analisi spietata e inquietante dell’autore non manca di sottolineare come le narrazioni contemporanee abbiano bisogno della costruzione di un linguaggio unico, come unico deve essere il pensiero, sorretto da una sovrabbondanza di informazioni e da una patologica dipendenza dai social.
Per orientarsi fra testo e contesto
Quando abbiamo smesso di pensare non è soltanto una analisi critica della condizione presente, ma anche un invito alla riflessione, al pensiero critico e al ritorno alla filosofia pratica, antidoti contro l’attuale omologazione. Se Lumpen Italia si concentrava in modo particolare sulla figura dell’ignorante ipermoderno, caratterizzato da un’arroganza intellettuale e da un rifiuto consapevole della conoscenza, nel suo ultimo saggio Miccione si sofferma sugli anni più recenti, in particolare su quelli della pandemia. Lo studioso non manca tuttavia di fornire soluzioni per giungere a una vera educazione alla complessità, nella riscoperta del valore della filosofia come strumento di analisi critica e come guida per l’azione, nel solco di una cultura alternativa basata sui valori della conoscenza e del dialogo.